Diversi studi affermano che esiste una relazione significativa tra musica e propensione agli acquisti da parte di consumatori. In particolare la scelta del tipo di musica può influenzare sia il comportamento dei consumatori verso il brand e sia la loro propensione agli acquisti. Secondo i principi del neuromarketing, la musica conosciuta, soprattutto quella che include parole e melodie familiari, tende a generare una risposta emotiva più forte rispetto a una musica strumentale o meno familiare. Questo accade perché la musica conosciuta può attivare ricordi e associazioni emotive già presenti nel cervello, creando un senso di comfort e familiarità che può ridurre le inibizioni e aumentare il desiderio di acquistare. Di recente, uno studio di Narayan Sankaran et al. (1) supporta l'idea che il cervello elabori la musica in modo complesso, coinvolgendo sia il riconoscimento delle note che la previsione delle sequenze melodiche. Quando una melodia è già conosciuta, il cervello può anticipare le note successive, creando un'esperienza più fluida e piacevole, che può influenzare positivamente il comportamento di acquisto. In pratica, l'uso di musica conosciuta, che coinvolge sia parole che melodie familiari, potrebbe essere più efficace nel contesto del neuromarketing per creare un ambiente che favorisca gli acquisti, rispetto a una musica meno conosciuta o puramente strumentale. Tuttavia, la scelta della musica dipende anche dal target di consumatori e dal contesto in cui viene utilizzata. Ottenere informazioni preventive sull'audience, cosa non difficile al tempo della datificazione dei comportamenti d'acquisto, costituisce quindi un lavoro preliminare per ogni marketer prima di procedere a implementare strategie di neuromarketing basate sull'uso della musica. Analizzare i dati relativi ai comportamenti d'acquisto, ai gusti musicali e alle preferenze del target di consumatori permette di scegliere la musica più adatta a creare l'ambiente desiderato. Questo processo può coinvolgere l'uso di tecnologie avanzate di data mining e analisi predittiva per comprendere quali brani musicali potrebbero suscitare le reazioni emotive più positive e incentivare gli acquisti. (1) Narayan Sankaran et al. ,Encoding of melody in the human auditory cortex.Sci. Adv.10,eadk0010(2024).DOI:10.1126/sciadv.adk0010
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Un recente studio ha evidenziato un legame significativo tra la dilatazione della pupilla e la memoria di lavoro, aprendo nuove prospettive nel campo del neuromarketing. Una ricerca di Robinson et. al. (2024) pubblicata su "Attention, Perception, & Psychophysics" (1) ha dimostrato che la dilatazione pupillare può essere un indicatore affidabile dei livelli di memoria di lavoro. In particolare, i partecipanti allo studio che mostravano una maggiore dilatazione delle pupille durante compiti di memoria risultavano avere una capacità di memoria di lavoro superiore rispetto a coloro con una minore dilatazione pupillare.r modificare. (1) Robison, M.K., Garner, L.D. Pupillary correlates of individual differences in n-back task performance. Atten Percept Psychophys 86, 799–807 (2024). https://doi.org/10.3758/s13414-024-02853-2 La dilatazione pupillare come indicatore del carico cognitivoLa scoperta che la dilatazione delle pupille è correlata alla memoria di lavoro offre implicazioni cruciali per il neuromarketing. Tradizionalmente, la memoria di lavoro è stata misurata attraverso test psicometrici, ma l'uso dell'eye tracking per monitorare la dilatazione pupillare rappresenta un metodo non invasivo e in tempo reale per valutare il carico cognitivo e il coinvolgimento dei consumatori. Questo metodo consente ai marketer di ottenere dati preziosi senza interferire con l'esperienza dell'utente, rendendo le misurazioni più naturali e precise. Implicazioni per il neuromarketingL'integrazione dell'eye tracking nei processi di analisi del comportamento dei consumatori permette ai marketer di misurare l'impatto cognitivo di messaggi pubblicitari, layout di siti web, o interfacce utente in tempo reale. Ad esempio, se durante la visualizzazione di un annuncio si osserva una significativa dilatazione delle pupille, questo potrebbe indicare che il messaggio richiede un elevato sforzo cognitivo. Al contrario, una dilatazione ridotta potrebbe suggerire una mancanza di coinvolgimento. Questa capacità di monitorare il carico cognitivo offre un'opportunità senza precedenti per ottimizzare le strategie di marketing. I messaggi pubblicitari potrebbero essere adattati in base alla risposta pupillare per assicurarsi che siano sufficientemente stimolanti da catturare l'attenzione, ma non così complessi da sovraccaricare la capacità di elaborazione del consumatore. In questo modo, le aziende possono sviluppare campagne più efficaci, che non solo attraggano l'attenzione del consumatore, ma facilitino anche la memorizzazione e la comprensione del messaggio. La personalizzazione del marketingL'utilizzo della dilatazione pupillare come misura del carico cognitivo permette di personalizzare il marketing in modo più preciso. Ad esempio, in un contesto di e-commerce, l'analisi della risposta pupillare potrebbe guidare la presentazione dei prodotti, assicurando che i consumatori ricevano informazioni in una modalità e quantità che massimizzano la loro capacità di comprensione e ricordo. Inoltre, per prodotti o servizi complessi, i marketer potrebbero adattare il messaggio per renderlo più appetibile, evitando il rischio di un sovraccarico cognitivo che potrebbe allontanare il consumatore.
Ogni azienda si chiede come raggiungere i consumatori, catturare la loro attenzione e trasformarli in clienti fedeli. Il neuromarketing offre risposte concrete grazie all'approccio integrato delle neuroscienze cognitive e dell'economia comportamentale. Il nostro Master non solo fornisce conoscenze teoriche ma permette ai partecipanti di applicarle concretamente nei loro contesti lavorativi attraverso progetti reali. L'approccio olistico del Master ha permesso ai partecipanti di realizzare progetti a partire dal loro ambito professionale e lavorativo che hanno avuto impatti positivi, tangibili e misurabili. Ecco nel video i titoli dei progetti sviluppati. ISCRIVITI ALLA IX EDIZIONE DEL MASTER PER INIZIARE A SVILUPPARE I TUOI PROGETTI IN MANIERA NUOVA, SCIENTIFICA E CREATIVA. Partecipare al Master di Neuromarketing and Behavior Design del CUI offre una serie di vantaggi significativi a coloro che sono interessati a lavorare in questo campo dinamico e in rapida evoluzione.
Ecco 5 importanti motivi da prendere in considerazione: 1. Acquisire competenze uniche e richieste Il Neuromarketing è una disciplina relativamente nuova che sta guadagnando sempre più rilevanza nel mondo del marketing e della ricerca di mercato. Le competenze acquisite durante un Master in Neuromarketing and Behavior Design sono altamente specializzate e richieste, rendendo le persone specializzate in questo campo particolarmente attraenti per i datori di lavoro. 2. Capire meglio il comportamento dei consumatori Il Neuromarketing offre strumenti unici per comprendere il comportamento dei consumatori. A differenza delle tecniche di ricerca di mercato tradizionali, il Neuromarketing può accedere a informazioni non consce dei consumatori, offrendo intuizioni più profonde e accurate sulle loro preferenze e comportamenti. 3. Applicare la teoria alla pratica Il Master offre l’opportunità di apprendimento pratico, con strumentazione e la realizzazione soluzione supervisionata di casi pratici. Questo tipo di formazione pratica è fondamentale per capire come applicare le conoscenze acquisite durante il percorso. 4. Ampliare le opportunità di carriera Un Master in Neuromarketing and Behavior Design può aprire la porta a una serie di opportunità di carriera in vari settori, tra cui la ricerca di mercato, la pubblicità, lo sviluppo di prodotti e molto altro. Inoltre, la natura interdisciplinare del Neuromarketing significa che le competenze acquisite durante un Master in questo campo possono essere applicate in una varietà di contesti. 5. Rimanere all'avanguardia nel campo del marketing Il Neuromarketing rappresenta il futuro del marketing. Partecipando a un Master in Neuromarketing and Behavior Design, avrai l'opportunità di rimanere all'avanguardia in questo campo in rapida evoluzione, acquisendo competenze e conoscenze che ti metteranno in una posizione di vantaggio nel mercato del lavoro. Nell'ambito degli stimoli pubblicitari spesso si ricorre a figure come i testimonial o anche agli influencer più famosi. Questi "stimoli" familiari, una volta percepeti dai consumatori, sono processati dalla loro memoria visiva a breve termine. Fino ad oggi non era ancora chiaro come la familiarità interagisce con la corrispondenza veridica tra la rappresentazione mnemonica e gli stimoli esterni. Uno studio del 2023 (Won, BY. et. altri ) ha esaminato l'effetto della familiarità su due aspetti della corrispondenza mnemonica, precisione e accuratezza, nella memoria visiva a breve termine. Lo studio ha impiegato un metodo bayesiano gerarchico per modellare le prestazioni in un compito di rilevamento del cambiamento con volti simili a celebrità (volti ibridi tra celebrità e non celebrità con vari rapporti) come stimoli di memoria. La conclusione dello studio è che la familiarità migliora la precisione della memoria affinando la rappresentazione mnemonica ma compromette l'accuratezza della memoria deviando la rappresentazione mnemonica verso volti familiari (cioè celebrità).
Uno degli autori dello studio, W. Zhang, afferma che "la saggezza convenzionale è che vogliamo che la nostra memoria sia super precisa ed esatta. Ma una memoria così rigida non sarebbe in grado di ospitare la varianza osservata negli stimoli naturali. Ad esempio, con diverse condizioni di illuminazione, trucco, vestiti e acconciatura, l'aspetto di una persona può variare notevolmente. Le nostre memorie devono essere ad alta varianza per supportare il riconoscimento facciale con tutta la variabilità che troviamo nell'aspetto. Tuttavia, quando la nostra memoria è vaga, il riconoscimento facciale può fallire di tanto in tanto, il che non è ottimale nelle avvistamenti di celebrità, dato che non vogliamo perdere gli incontri con i VIP. Questi risultati forniscono una spiegazione integrata del fenomeno dei falsi avvistamenti di celebrità con effetti dissociabili sull'imprecisione e sul pregiudizio mnemonici e sottolineano ulteriormente l'importanza di valutare questi due aspetti della corrispondenza mnemonica negli studi che sono condotti anche nell'ambito del neuromarketing. Vedi: Won, BY., Park, HB. & Zhang, W. Familiarity enhances mnemonic precision but impairs mnemonic accuracy in visual working memory. Psychon Bull Rev (2023). "I nudge mirano ad influenzare il processo decisionale e il comportamento di consumatori e cittadini. Tuttavia, si dibatte molto sulla loro reale efficacia nel cambiare (in meglio) il comportamento delle persone. In questo articolo, Davide Rigoni, PhD, co-fondatore di Sapience, discute 3 fattori che possono aumentare l'efficacia del nudge"
PROSEGUI LA LETTURA SU LINKEDIN In questo articolo, Barbara Missana, anticipa i temi che come docente affronterà nel Master VII ed. LA NEUROESTETICA L’Estetica è quella disciplina filosofica che si occupa delle problematiche relative alla bellezza e all'arte e che afferisce alla “percezione estetica”, quel particolare tipo di esperienza che ci capita di fare quando giudichiamo 'bello' qualcosa, per es., un'opera d'arte, ma anche un oggetto, un individuo, un paesaggio naturale. Il termine deriva dal greco αἴσϑησις «sensazione», «percezione», «capacità di sentire», «sensibilità». Fin dal principio l’uomo ha tentato di afferrare l’intima essenza di un’esperienza estetica ricercando una definizione il più possibile oggettiva di “arte” e del concetto di “bellezza”. Tuttavia, nell’estetica tradizionale si è sempre fatto riferimento solo al processo affettivo e psicologico che scaturisce nell’incontro con l’oggetto dimenticando la componente intellettiva. Seppur l’affermazione di un gradino percettivo e corporeo nella conoscenza e formazione del fatto artistico sfiorava già l’intuizione di una mediazione fisica e biologica dell’intelletto umano nelle teorie Hegeliane e Kantiane, queste importanti figure del pensiero occidentale non hanno avuto l’opportunità di vedere direttamente cosa avviene nel nostro cervello quando siamo di fronte ad un’opera d’arte o ad un oggetto che riteniamo “bello”. Oggi invece lo sviluppo delle tecniche di brain imaging, come la PET, la SPECT e la risonanza magnetica funzionale, hanno consentito la rilevazione in vivo della funzioni cerebrali permettendo l’identificazione in parte anche di quei circuiti coinvolti a livello neurale nell’apprezzamento estetico. Ecco che la Neuroestetica subentra alla estetica riconoscendo che nella percezione intervengono processi meccanici uguali per tutti e probabilmente la risonanza emozionale prodotta dall’oggetto osservato è il risultato di processi “costanti” presenti nel nostro cervello. La neuroestetica è quindi una nuova area di ricerca che prende le mosse dall’estetica tradizionale ma che coinvolge le scienze cognitive e affianca un approccio neuroscientifico alla consueta analisi estetica della produzione e della fruizione di opere d’arte, dell’advertising e del mondo del visual. Nel 1994 sul numero 117 della rivista di neurologia Brain un artista, Mathew Lamb, ed un professore di neurobiologia, Semir Zeki, firmavano insieme l’articolo The Neurology of Kinetic Art: per la prima volta l’arte veniva criticata da un punto di vista scientifico e si sanciva la nascita di una nuova disciplina, interessata fondamentalmente allo studio dell’organizzazione del cervello visivo, in cui l’artista era elogiato come inconsapevole “neurologo” per via della stimolazione del cervello visivo istigata dalle proprie opere: la neuroestetica. Semir Zeki, professore di neurobiologia alla University College di Londra, ha condotto la maggior parte delle sue ricerche sul mondo delle immagini, convinto che anche attraverso l’opera d’arte si possa indagare il meccanismo di percezione e cognizione dell’uomo, e le ha raccolte nel 1999 nel testo La visione dall’interno, incoraggiando i neurobiologi ad accostarsi all’arte per poter conoscere il funzionamento del cervello. Per tale motivo è considerato il padre fondatore della disciplina. Contemporaneamente lo scienziato di fama Changeux ha pubblicato Ragione e piacere. Dalla scienza all’arte e Lamberto Maffei e Adriana Fiorentini Arte e cervello: sono stati tutti questi i primi passi mossi verso quello che si può definire un “Secondo Rinascimento” o un “nuovo umanesimo” basato sul prefisso “neuro”. Dalla ricerca scientifica e dalla diagnosi patologica si sono sviluppate le prime indagini neuroestetiche che hanno assunto l’opera d’arte come una sorta di test fisiologico e comportamentale da sottoporre al paziente-osservatore al fine di comprendere quali sono i meccanismi biologici alla base delle emozioni e dell’apprezzamento estetico. Prendendo come oggetto un’opera d’arte, la neuroestetica propone l’indagine dei meccanismi percettivi alla base della visione e dimostra il modo in cui l’oggetto stimoli il cervello visivo. Cosa succede a livello cerebrale quando osserviamo un dipinto di Veermer, la Gioconda, un opera astratta di Kandinsky? Oppure ancora, come è possibile che abbiano creato delle opere che provocano una reazione a più livelli in noi? Il motto zekiano è “le arti visive devono obbedire alle leggi del cervello visivo, sia nella fruizione sia nella creazione; le arti visive sono un’estensione del cervello visivo che ha la funzione di acquisire nuove conoscenze; gli artisti sono in un certo senso dei neurologi che studiano le capacità del cervello visivo con tecniche peculiari.” Le scoperte sulla funzione visiva del cervello, soprattutto quella della specializzazione funzionale dei centri della corteccia visiva, hanno influito sull’idea di Zeki che anche gli artisti abbiano sfruttato questa specializzazione corticale dando risalto chi alla forma, chi al colore, chi al movimento. La neuroestetica esamina perciò le relazioni fra le aree specializzate della corteccia visiva e la percezione di forme, colori e movimenti, sviluppando le intuizioni della Gestalt. L’idea è che l’arte sia un’estensione del cervello visivo per via dell’assimilabilità delle loro funzioni: “rappresentare le caratteristiche costanti, durevoli, essenziali e stabili di oggetti, superfici, volti e situazioni e così via”, ossia eseguire un processo di astrazione e generalizzazione. Esistono delle forme universali? Artisti e neurologi si pongono interrogativi simili in quanto strettissima è l’analogia tra il mondo dell’arte contemporanea e la fisiologia delle cellule cerebrali riguardo la visione. L’attenzione di questi artisti per le geometrie e le forme astratte va al di là delle loro conoscenze matematiche e si può assimilare agli esperimenti per ridurre l’insieme delle forme all’essenziale per cercare l’essenza di una forma cosi come è rappresentata nel cervello a seconda della propria percezione visiva. L’arte è, infatti, una ricerca di costanti attraverso le forme singole: dal particolare verso l’universale. L’idea deriva dal concetto e cioè da una registrazione nel cervello delle immagini mnemoniche selezionate. Il dipinto di un oggetto quindi rappresenta tutte le caratteristiche comuni a quell’oggetto e ne costituisce la realtà perché si pone come universale sopra ogni particolare. Gli artisti pertanto sono sempre impegnati nella ricerca dell’essenziale, della essenza di una forma, la cosiddetta “costanza di forma”. Le ricerche di neuroestetica hanno inoltre identificato l’origine di alcune percezioni elementari comuni, a prescindere dalla propria esperienza: molte aree della corteccia visiva si attivano infatti in modo identico in tutti gli uomini quando sono posti di fronte allo stesso oggetto. Lo stesso scopo dell’arte non è rappresentazione descrittiva bensì ricerca di emozione tramite l’essenzialità dell’oggetto raffigurato. “Proprio come l’arte, il cervello crea ciò che è costante ed essenziale”. Allora conoscere i meccanismi che permettono di apprezzare l’arte, studiare la natura dell’esperienza estetica può aiutare a conoscere i meccanismi della percezione e le strategie che il cervello usa nell’affrontare gli stimoli esterni. Quindi, come fa il cervello, l’artista seleziona gli attributi essenziali della realtà e li conferisce alla sua opera. L’opera d’arte nel momento in cui viene contemplata, viene percepita, riconosciuta e analizzata prima di tutto nelle sue caratteristiche strutturali e poi scaturisce la risposta emotiva. Ecco che psicologi e neurobiologi parlano comunemente di “costanza” in relazione alla visione dei colori, delle forme e delle linee e il professor Zeki ha definito la sua legge di costanza: “… quello che ci interessa sono gli aspetti essenziali e persistenti degli oggetti e delle situazioni, ma l’informazione che ci giunge non è mai costante. Il cervello deve quindi avere qualche meccanismo per scartare i continui mutamenti ed estrarre dalle informazioni che ci raggiungono soltanto ciò che è necessario per ottenere conoscenza delle proprietà durevoli delle superfici”. Connessa a questo principio è anche una legge di astrazione, il processo con cui il cervello predilige il generale al particolare e conduce alla realizzazione dei concetti da manifestare nell’opera d’arte. Ecco che in questa ottica, nel campo del visual design si inserisce una nuova branca, quella del Neurodesign che stabilisce principi “cerebralmente riconosciuti” per creare immagini strategicamente attraenti. NEURODESIGN Il Neurodesign è lo studio delle caratteristiche estetiche degli oggetti/ immagini che le persone tendono comunemente a giudicare “belli” e a percepire come positivi e attraenti. L’obiettivo del Neurodesign è riuscire ad attirare l’attenzione sul prodotto in un mondo di utenti distratti da migliaia di stimoli, ottimizzando aspetti come il coinvolgimento emozionale che l’oggetto può creare e la sua salienza visiva. Per un designer dunque è fondamentale capire come progettare prodotti sempre più attraenti che soddisfino non solo requisiti funzionali, ma che considerino anche il fattore umano e le istanze emotive: lo USER EXPERIENCE DESIGN. Sappiamo bene che un colore non vale l’altro e che la giusta scelta di abbinamenti per un sito web non può dipendere solo dal “buon gusto”. Il colore produce “sensazioni” e “associazioni” che hanno effetti sul nostro atteggiamento psicologico. Per questo scegliere i colori giusti diventa fondamentale non solo nella progettazione di un’interfaccia grafica ma anche nel marketing. Questo perché sono soprattutto gli stimoli visivi come i colori, le forme e le icone a richiamare l’attenzione dell’utente, a facilitare il reperimento delle informazioni e a guidarlo durante la navigazione nel web. Le nostre menti sono programmate per rispondere al colore. Conoscere il funzionamento del sistema percettivo umano, diventa quindi indispensabile per chi si occupa di design e progettazione di siti web/ app etc… e vuole scegliere i giusti colori da abbinare. Conoscere le caratteristiche e i meccanismi di base, come “rispondiamo” ed “elaboriamo” i colori, ad esempio, ci permette di individuare le migliori tecniche da utilizzare nella progettazione di un’interfaccia grafica per: • attirare l'attenzione dell'utente • rendere semplice la navigazione, leggibili i testo e reperibili in modo rapido le informazioni • rendere piacevole esteticamente il risultato La percezione è sempre multisensoriale: il cervello integra le informazioni provenienti da fonti diverse per creare la percezione di un oggetto o di un prodotto. Cioè, le diverse caratteristiche di un prodotto, come il colore, la forma, l’odore, la sensazione tattile, il suono e così via, sono raramente elaborate in isolamento dal nostro sistema neurale. Tra di esse si verificano numerose interazioni e la nostra percezione finale è molto più di una semplice somma di queste caratteristiche. Ciò significa anche che la consistenza al tatto può influenzare la percezione di un aspetto diverso del suo contenuto. Tra le scoperte più significative del neurodesign sul packaging è l’importanza dell’esperienza tattile per il consumatore, in particolare la preferenza per le superfici con un pattern ben preciso, ad esempio ruvide, satinate o lucide. Un esempio lampante è la bottiglia dell’aranciata “Orangina”, che è realizzata con una superfice ruvida che ricorda la buccia d’arancia per ricordare il sapore del prodotto e usare oltre alla leva visiva (il colore dell’aranciata) anche la sensazione tattile del frutto da cui è prodotta. Questo tipo di superficie attiverebbero maggiormente la corteccia somatosensoriale, anticipando il piacere associato al tocco dell’oggetto in questione. Tra i vari sensi, la vista è sicuramente la modalità più raffinata nella specie umana (non a caso ogni giorno siamo letteralmente bombardati da immagini pubblicitarie di ogni tipo): ben il 20% della corteccia cerebrale è dedicata alla “vista”: in particolare sono le aree denominate V1, V2 e V4 a fare da protagoniste nell’elaborazione del colore. (vedi il libro Neuroestetica e arti visive. Riflessioni sugli scritti di Kandinsky, Barbara Missana) Il processo di visione ha inizio dalla retina dove sono presenti due tipi di cellule, i coni e i bastoncelli che sono deputati alla ricezione degli impulsi luminosi. Anche se siamo in grado di distinguere molti colori differenti, esistono solo 3 tipi di recettori per il colore. Secondo la teoria tricromatica, i coni possono distinguere: • lunghezze d’onda medie (500-570 nanometri), il VERDE-GIALLO (Coni medi) • lunghezze d’onda corte (450-500 nanometri), il BLU (Coni corti) • lunghezze d’onda lunghe (650-780 nanometri), il ROSSO-ARANCIO (Coni lunghi) Inoltre i rapporti fra i tre tipi di coni sono differenti: i coni che rispondono al rosso-arancio sono quasi il doppio di quelli che rispondono al verde-giallo, che a loro volta sono circa il doppio di quelli che rispondono al blu. E’ questo uno dei motivi per cui noi siamo più sensibili al rosso rispetto agli altri colori. Questa è una delle tante nozioni che aiutano i designer nella progettazione di interfacce grafiche: non è un caso che i segnali di stop e allerta utilizzino questo colore, ed ecco che il rosso può rivelarsi un’ottima scelta se utilizzato per richiamare l’attenzione dell’utente su quelle informazioni considerate prioritarie o rilevanti. Solitamente, per esempio, si usa per ricordare all’utente la disponibilità limitata di un prodotto per spingere l’utente all’acquisto istantaneo. Questi e tanti altri fattori vengono analizzati e sfruttati dai neurodesigner per valorizzare brand, per aiutare gli utenti di un sito nella navigazione, per coinvolgerli a proseguire verso determinate decisioni. La scelta dei colori e delle forme per un sito web o per delle grafiche non è quindi una cosa banale. Anzi, richiede tempo, conoscenza ed esperienza. Uno dei punti forti del Neuromarketing, che beneficia degli strumenti delle neuroscienze applicate, è che in grado di leggere la risposta inconscia del consumatore e a trasformarla in comportamento o disposizione verso un prodotto, servizio, argomento, ecc.
Succede quindi che, ad esempio, l'esposizione al consumatore di un prodotto già crea un aspettativa nella mente dello stesso. In sostanza il consumatore osservando un brand anticipa cosa lo stesso può offrirgli, la sua utilità. A partire da queste premesse, Liane Schmidt e colleghi (2017) nel loro studio intitolato "Red Bull Gives You Incentive Motivation: Understanding Placebo Effects of Energy Drinks on Human Cognitive Performance", hanno mostrato come il cervello è particolarmente sensibile ai brand fino a motivare comportamenti che possono essere utilmente guidati da specifici stimoli ideati dal marketing. Partendo dalla constatazione che le bevende energetiche, tipo Red Bull, sono spesso consumate da studenti e professionisti come stimolatori cognitivi, soprattutto in vista scadenze impegnative, i ricercatori si sono chiesti se le stesse bevande migliorano effettivamente le prestazioni. Lo spunto è stato offerto ai ricercatori da come funziona l'effetto placebo in medicina, dove il paziente riferisce miglioramenti nella salute nella convinzione di aver assunto un farmaco (una componente chimica). Al paziente, in realtà, viene somministrato una sostanza con lo stesso aspetto del farmaco, che però non contiene principi attivi. Quindi i ricercatori, hanno ipotizzato che alcuni degli effetti sulle prestazioni cognitive delle bevande energetiche potesse essere guidati dalle aspettative orchestrate dal marketing, piuttosto che dagli effetti degli ingredienti reali delle bevande. In altre parole, si sono domandate se l'aumento delle prestazioni cognitive possono essere indotte da un effetto placebo di marketing. CHE COSA HANNO FATTO I RICERCATORI Nello studio, i partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a quattro gruppi che hanno ricevuto una Redbull Silver Edition (bevanda energetica) o una bibita dal colore e sapore simile. Ai partecipanti veniva anche chiesto di dichiarare quale bevanda avevano bevuto (energetica vs. bibita dal colore e sapore simile). Nella stanza in cui venivano somministrate le bevande, è stato appeso un poster al fine di spiegare ai partecipanti all’esperimento i benefici delle bevande energetiche sulle prestazioni mentali. Ai partecipanti è stato chiesto di leggerlo. Dopo aver letto il poster e consumato la bevanda, ai partecipanti è stato assegnato un compito numerico di Stroop per testare le prestazioni cognitive che presentava diversi incentivi - punteggi collegati poi a ricompense in denaro - per ottenere dei buoni risultati (un'altro obiettivo della ricerca era quello di esaminare come il sistema dopomanirgico agisce sull'effeto placebo). Ai partecipanti, dopo una prima prova di allenamento iniziale, veniva chiesto di indicare la loro aspettativa (in termini di successo) sul compito sperimentale. I RISULTATI I ricercatori hanno scoperto che:
I risultati della ricerca indicano che credere semplicemente di consumare una bevanda energetica aumenta la motivazione a mettersi in bella mostra, che a sua volta migliora le tue prestazioni. In particolare, i ricercatori hanno dimostrato che come "decisori" abbiamo un'utilità attesa di un risultato e quando vediamo un prodotto, o anche solo il marchio o una confezione, siamo portati ad avere un'aspettativa di ciò che verrà. Questo effetto di aspettativa è correlato all'impegno dei nuclei profondi del cervello, come l'amigdala, la parte del cervello sensibile alle emozioni, e alle strutture legate alla ricompensa come lo striato ventrale.
BY DAVIDE RIGONI. Founder of ICense and Professor of Neuromarketing at Hult International Business School. In this blog post I outline 5 very good reasons for applying for the Master in Neuromarketing Consultancy, organized by ICense in collaboration with the Belgian-Italian Chamber of Commerce (Brussels) and the Centro Universitario Internazionale (Milano). #1: THIS MASTER PREPARES YOU FOR THE ACTUAL BUSINESS WORLDAs reported a few years ago by McKinsey & Co, almost 60% of worldwide employers believe that academic education does not adequately prepare for the work environment. In other words, more than half of the employers feel that individuals who completed an academic educational program lack the skills and the know-how to operate effectively in companies and organizations. We agree that explaining theories and delivering knowledge is not enough and therefore the program of the Master in Neuromarketing Consultancy is designed and carried out with a learn-by-doing vision. Our objective is to provide a continuous learning environment that will deliver the know-how to successfully apply psychology and neuroscience to the marketing mix. This is way the teaching staff includes both academic and business professionals who won’t just guide you through the most recent discoveries in consumer neuroscience, but who will also challenge you with practical assignments on real neuromarketing cases and let you experience first-hand the neuromarketing toolbox (eye-tracking, emotion readers, wearable sensors, ...). Learning and professional enrichment will be inevitable! #2: A GREAT OPPORTUNITY FOR NETWORKING WITH PROFESSIONAL NEUROMARKETERS“Networking is the No. 1 unwritten rule of success in business.” Sallie Krawcheck, CEO and co-founder of Ellevest. Everybody is well acquainted with the notion that a successful career does not come from social and professional isolation. One important mission of the Master in Neuromarketing Consultancy is to stimulate networking opportunities among the participants (and the speakers) and to create a community of neuromarketing professionals. Most of the assignments and case studies are carried out collectively in small groups and are designed to encourage active collaborations among the participants. From our experience during the past editions of the master, this arrangement offers a great opportunity to get involved with other marketing and management practitioners and build valuable and long-term professional relationships. On top of that, post-session drinks and a social dinner at the end of the master are proposed to encourage and enable the networking process in a more informal manner! #3: A FOCUS ON INDIVIDUAL BUSINESS PROJECt We think the best way to learn anything is by…doing it! An important element of the Master in Neuromarketing Consultancy is the development of one’s own business project. From day 1, you will be encouraged to reflect about how neuromarketing can be beneficial for your business and we will help you evaluating and fine-tuning your own ideas. Through the guidance of the teaching staff, you will explore the different ways neuromarketing can be applied to your own professional domain - e.g. optimizing the pricing strategies of a product or a service, improving the UX of a website, testing the impact of an advertisement, understanding how customers actually feel, designing a brain-proof marketing communication. This will be a unique opportunity to start implementing neuromarketing to your own business under the supervision of neuromarketing experts. #4: NEUROMARKETING AND TRADITIONAL MARKETING: AN INTEGRATED APPROACHNeuromarketing is too often presented in contrast to traditional marketing and market research. We actually think that neuromarketing and traditional marketing complements each other. While neuromarketing methods can, in specific situations, offer invaluable consumer insights that traditional tools cannot provide – because of different reasons such as social desirability biases, strategic answering and people’s inability to report on unconscious processes – we are also convinced that neuromarketing can (and should) be combined with other approaches. In the case studies we present during the Master in Neuromarketing Consultancy, you will learn how neuromarketing concepts and techniques can complement marketing surveys, qualitative interviews, and focus groups. We strongly believe that integrating the different methods make your analysis more accurate and ultimately will improve your marketing strategy. For an interesting view on the increased predictive accuracy of combining the different methods, click here. #5: TAILORED TO YOUR SPECIFIC NEEDS The program of the master is designed to deliver the most useful and concrete learning experience for each applicant participant.
This is one of the reasons why the number of participants is limited! While the core of the learning program remains loyal to our vision, each edition of the master is adjusted to your specific needs. This means that the guest speakers, the specific topics of the lectures and the content of the assignments are tailored to the audience. This is definitely extra work for us – copy-paste is way easier and faster! – but we are committed to ensure that the participants to the master will learn something that they really need.
Il frame cinese del Virus
Wuhan è una città che vanta la presenza di molte aziende occidentali, anche italiane e tedesche. “A Wuhan, la città del virus cinese, si stava preparando un progetto per un «Italian village» delle imprese italiane, un’area di 5,6 chilometri quadrati dedicata alle piccole e medie aziende italiane” (Il Sole24 Ore On Line del 24 Gennaio 2020). La Webasto, azienda bavarese, leader mondiale nella produzione dei tetti panoramici, è presente con un proprio stabilimento di produzione a Wuhan. Si stima che un’auto su due in Cina è dotata di un tetto panoramico della Webasto. Essere stato in Cina di recente per bussiness o turismo oppure essere un cinese di ritorno dalla Cina era considerato in fattore di rischio notevole come indicato dalle autorità sanitarie dell’Unità di crisi costituita già il 23 gennaio del 2020 dall’Italia. Non sono stati tuttavia valutate attentamente i pericoli connessi alle relazioni commerciali da e per Wuhan. A rafforzare la componente etnica orientale del Virus e la distanza dall’Europa ha contribuito l’informazione: video, immagini, racconti si riferivano solo al caso cinese. Si è rafforzata così l’opinione che il Virus rimanesse fermo nel posto in cui era stato scoperto. Per vigilare sui “confini esterni” il Governo italiano aveva disposto il controllo della febbre negli aeroporti (modello già testato ai tempi della SARS), quarantena per persone provenienti dalle zone del contagio cinese, distanza sociale, ecc. Le polmoniti Presentarsi negli ospedali italiani con una polmonite oppure morire per una strana polmonite non è stato un segnale capace di attivare il monitoraggio sanitario e i medici degli ospedali italiani nei mesi tra dicembre 2020 e 21 febbraio 2020. Certo, il periodo invernale, a causa delle influenze con possibili ripercussioni polmonari (frequenti soprattutto nei mesi di dicembre-febbraio) ha complicato la lettura dei dati delle malattie in corso. Ma era veramente impossibile distinguere tra picco delle polmoniti dovute ad eventi stagionali (influenza) e polmoniti estremamente resistenti e che colpivano anche soggetti solitamente immuni da complicazioni? Oggi sono in molti a chiedersi a che servono tutti i nostri dati, età, sesso, malattie pregresse di cui il sistema sanitario italiano ci chiede continuamente conto se poi tali dati non possono generare ipotesi di cura o allarmi? Le strani polmoniti pur registrate dal sistema sanitario (ad es. spese per numero di tac polmonari in aumento, incremento di persone al pronto soccorso con problemi respiratori, ecc.) a chi dovevano essere segnalate? O, se registrate, i dati da chi dovevano essere analizzati e interpretati? Chiarire che fine fanno i nostri dati “sanitari” sarà sempre più importante al fine della costruzione di modelli sanitari che possano essere, magari con il supporto di machine learning, utilizzati per analisi “on line”, aggiornate al momento e a disposizione immediatamente delle autorità sanitarie con già delle ipotesi d’intervento (modelli predittivi). Ma si sa i dati sono Sistema 2. Faticosi. Questi i fatti di cui oggi (con il bias “del senno del poi”) possiamo far memoria:
Euristica della disponibilità In sostanza si conferma anche che era in opera tra l'opinione pubblica e gli esperti l’euristica delle disponibilità. Quando si valuta la possibilità che determinati fenomeni possano accadere, si scandaglia la nostra memoria alla ricerca di eventi simili che si sono avuti nel passato (in questo caso la spagnola, la febbre gialla, la peste e, ultimamente Ebola e SARS). L’opinione che si è formata non si è basata su dati oggettivi pur presenti (polmoniti insolite, evidente mancanza di risposta alle cure solite, notizie che arrivavano dalla Cina e che non erano rassicuranti) ma sulla capacità soggettiva (ma anche di gruppo sociale) di richiamare alla memoria determinati eventi (la SARS ed Ebola non sono arrivati in Italia) E pare che anche le immagini provenienti dalla Cina, i filmati, e i racconti sui morti, non hanno avuto quell'impatto tale per suscitare emozioni, empatia e paura da imprimere una narrazione utile a valutare il pericolo imminente. Il pericolo era lontano e poi era in opera il pregiudizio etnico o lo stereotipo riguardo la sanità, il regime alimentare e l’igiene cinese (vedi più avanti). Bias della conferma La scoperta del paziente 1 nasce dalla capacità dei medici di Cologno di aggirare la narrazione sul Virus e la sua diffusione. Interessante è rileggere quanto dichiarato a Repubblica del 6 Marzo 2020, da Annalisa Malara che ha scoperto il CoronaVirus del paziente 1 (Mattia). "Mattia dal 14 febbraio aveva la solita influenza, che però non passava. Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato e quella polmonite era già gravissima. Il paziente e tutti noi siamo stati salvati da rapidità e gravità dell'attacco virale. Dalla medicina è arrivato in rianimazione. Quello che vedevo era impossibile. Questo è il passo falso che ha tradito il CoronaVirus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l'impossibile non poteva più essere escluso. Ho chiesto un'altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo.Il giornalista Giampaolo Visetti allora domanda: Il tampone è stato immediato? "Ho dovuto chiedere l'autorizzazione all'azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità, potevo farlo". Vuole dire che il paziente 1 è stato scoperto perché lei ha forzato le regole? "Dico che verso le 12.30 del 20 gennaio i miei colleghi ed io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L'obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane". La ricerca del Virus si è adattata alla narrativa indicata da circolari e indicazioni prescrittive (che avevano come modello le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, tratte dal trattamento di altre epidemie come Ebola e SARS). Era in azione il bias della conferma che indica che nella realtà non ci comportiamo come vuole la teoria razionale (esame dei fatti, cioè allarme dalle polmoniti dilaganti, che il virus potesse circolare anche attraverso popolazioni non cinesi, ecc.) ma prima tracciamo delle conclusioni da esperienze pregresse (disponibili in memoria) e poi andiamo alla ricerca di prove per sostener la conclusione. Come il primo caso italiano ha mostrato, all’origine della malattia del paziente 1 doveva per forza esserci un collega o qualcuno con contatti in Cina (conclusione) poi si sono cercati i fatti (le prove) per sostenere tale narrazione, il paziente zero. La successiva ricerca del paziente zero è stata inutile perché come mostrato da diverse indagini epidemiologiche il Virus circolava in Italia e in Germania da molto tempo prima. IL SIGNIFICATO DI CIO’ CHE SI VEDE Gli allarmi scritti in forma di circolare da parte del Ministero della salute non "allarmano" a sufficienza le Regioni e le istituzioni sanitarie. Pare che la lettura della circolare venisse fatta con lentezza colmi di ottimismo sul potere del sistema sanitario nazionale (uno dei migliori del mondo, bias ottimistico). Nonostante ciò si è proceduto a costituire unità di crisi nei migliori ospedali e ad effettuare esercitazioni, ma con i mezzi disponibili, senza conoscere nulla della forza del Virus. Non si comprenderebbe altrimenti perché: a) non si è tenuto conto della circolare del Ministero della Salute del 23 Gennaio 2020 che dettava norme specifiche per gli Ospedali in tema di dispositivi e percorsi personalizzati per l’accertamento dei positivi e dei loro parenti. Il ministero della Salute ha mandato per tempo le istruzioni agli Assessorati regionali. Ma come si evince dai primi casi gli Ospedali erano impreparati sotto il profilo strutturale (terapia intensiva, dispositivi di protezione), numerico (medici disponibili e attivabili sul territorio) e procedurale (i tamponi dovevano essere fatti a coloro che avevano la polmonite e precedente essere stati in Cina o aver avuto contatti con cinesi provenienti dalle zone del contagio. Quindi un manager proveniente da Shanghai poteva circolare indisturbato per il globo ed essere positivo al virus). b) non si è tenuto conto della possibilità che a trasmettere il Virus potessero essere soggetti Positivi e asintomatici. Eppure, la rivista scientifica Lancet aveva già segnalato il 25 gennaio che il virus poteva essere trasmesso da asintomatici, soprattutto bambini. Quindi, alla mancanza del sistema sanitario di leggere in maniera predittiva e coordinata i “dati fuori norma” registrati sul territorio (soprattutto lombardo) di pazienti con polmoniti, si assomma la ricerca affannosa del “caso positivo”, già malato con febbre, cinese, oppure paziente con polmonite con collegamento diretto o indiretto con la Cina o cinesi. Degli asintomatici nemmeno si parla o si parla solo in maniera poco allarmante (gli esperti indicavano che soggetti, con pochi sintomi, difficilmente potevano essere contagiosi). Le notizie e le immagini video che provenivano dalla Cina, ancor prima degli studi scientifici che all’inizio di febbraio 2020 incominciavano copiosamente a circolare, hanno destato allarme orientandolo però solo verso la direzione della ricerca del “cinese sintomatico” o i collegamenti dei positivi o affetti da polmoniti con i cinesi sintomatici o persone provenienti dalle zone del contagio”. Come mai il personale sanitario non si è allarmato quando osservava: - che i medici e sanitari cinesi indossava dispositivi di protezione molto potenti. Perché i medici cinesi portavano tali dispositivi? I medici non cinesi potevano chiedersi almeno se non fosse a causa di un’alta contagiosità? - che le persone isolate socialmente in tutta la regione dell’Hubei indossassero mascherine protettive? L’unica risposta possibile è che se nella nostra mente non abbiamo dei modelli già pre-esistenti: è impossibile che si presti specifica attenzione a ciò che appare lontano e poco minaccioso rispetto alla nostra sopravvivenza. Non c'era sufficiente motivazione. GLI “STEREOTIPI” NAZIONALI E IL VIRUS CHE ODIA LE FRONTIERE Le popolazioni occidentali (europee o americane) che oggi si sentono minacciati dal Virus, ritenevano, all’inizio della pandemia, che i cinesi prima e gli italiani fossero sostanzialmente colpevolmente i portatori principali del contagio. I primi (i cinesi) per scarsa sensibilità sanitaria, alimentare e d’igiene; i secondi (gli italiani), perché disorganizzati, dissipatori e indebitati. Così:
Ad accorgersi di questo errore è stata, sulla sua pelle, per prima la Francia, che è passata, in breve tempo, da un’ingenerosa satira verso gli italiani (la pizza al CoronaVirus) alla paura dell’epidemia, poiché, ad ogni giorno che passava, emergeva chiaramente che il Virus odia tradizionalmente le frontiere e non fa caso agli sconfinamenti. Boris Johnson e D. Trump, scommettevano che il Virus potesse essere pericoloso per alcuni soggetti, poveretti, deboli, di scarso valore aggiunto per la loro potenza economica. Meglio, per il primo Johnson, l’effetto immunità di gregge che ostacolare qualcosa che non si vede e nemmeno si comprende. Alla fine, anche questi paladini del libero mercato e del business sopra tutto hanno ceduto all'evidenza che il Virus COVID-19 è una minaccia per loro stessi, l’intera specie e indirettamente anche per l’economia e la sopravvivenza dell’uomo. Ma sono i numeri del contagio che alla vigilia di Pasqua 2020 allarmano. I dati forniti dalla Johns Hopkins University, in aggiornamento continuo, dicono che i contagiati nel mondo sono oltre il milione e settecentomila persone e il numero dei morti è di 104 mila. Questi dati indicano che il COVID-19 è un vero flagello capace di mettere in crisi intere nazioni e, in epoca di globalizzazione, le relazioni tra continenti. Il primo ministro inglese uscito dal periodo di cura per aver contratto il CoronaVirus è ora molto attento a indicare ai propri concittadini comportamenti ottimali (“non uscite di casa”) per rallentate l’epidemia. IL RISPETTO DELLE REGOLE TRA OBBEDIENZA E RIBELLIONE E IL GIUDIZIO SOCIALE. In questo momento si ha quindi maggiore coscienza collettiva e mondiale della pandemia. Le persone in ogni nazione avvertono che un pericolo invisibile minaccia l’esistenza di ognuno di loro, dei loro cari e anche dell’intera società. Come conseguenza i cittadini di ogni nazione si aggrappano alle sicurezze fornite dalla scienza, dalla politica e anche dalla fede religiosa capace di dare senso all’improvvisa rottura delle regole indotte dalla natura non domata e tanto meno conosciuta (il Virus). In generale, si nota nelle società e nazioni del monto una maggiore disponibilità ad accettare le norme per contrastare la diffusione della pandemia. In particolare, persone più orientate alla tradizione, al rispetto delle regole, conservatori si direbbe, non vedono in questo periodo storico di buon occhio persone creative, che usano comportamenti fuori norma, modelli propri piuttosto che quelli condivisi e che si mostrano "eccessivamente creative" nel senso di devianti rispetto a norme comportamentali ritenute più efficaci. In sostanza il comportamento libero, privo di vincoli, individualista nelle scelte, è oggi meno gradito, perché potenzialmente portatore del pericolo di allargare il contagio e quindi altamente minaccioso per l’esistenza propria e degli altri. Obbedienza da una parte, eccentricità e ribellione individualista nelle scelte dall’altra parte. Anche le norme sociali apprese in maniera implicita (educazione, modalità di fare acquisti, di consumare, gestione delle relazioni personali e sociali, rispetto dell’ambiente, ecc.) sono messe in crisi in questo periodo di COVID-19. Questi comportamenti, abitudini apprese, devono oggi confrontarsi con le norme necessarie per ostacolare la diffusione dell’epidemia: igiene, mascherine, distanza sociale. Coloro che all’interno di un gruppo sociale temono che il contagio si allarghi, mettono in atto tutte le prescrizioni fornite dalle autorità sanitare, e aggiungono nei loro comportamenti maggiore vigilanza e sono tesi ad attuare procedure igieniche corrette. Il loro giudizio è molto severo verso soggetti che hanno mostrato comportamenti scorretti anche se non direttamente collegati alla diffusione pandemica (un imprenditore che ha licenziato in maniera infondata o maltrattato i collaboratori, componenti dello stato che non vigilano adeguatamente sui piani sanitari, ad es.). In sostanza, in imprenditore che maltratta un dipendente, o, addirittura un imprenditore che cerca di truffare sulla vendita di mascherine, un responsabile di una casa di cura che chiude un occhio rispetto ad un piano sanitario non realizzato, potranno essere considerati nel periodo pandemico come attori socialmente molto pericolosi, degni delle peggiori pene. In un periodo non pandemico probabilmente tali comportamenti, ancor prima che reati, sarebbero stati tutto sommato tollerati. Il giudizio di coloro che sono conservatori, si rafforza in questo momento con i provvedimenti di distanza sociale o di igiene rafforzata. Il rispetto delle norme e un atteggiamento preventivamente prudente sarà mantenuto dagli “obbedienti” anche nel prossimo in futuro. Ad esempio, l’abitudine acquisita di rispettare le regole di pulizia e di igiene per prevenire il contagio, con largo ricorso a disinfettanti o altri detergenti e saponi, forma anche una modalità comportamentale e valori che tenderanno a persistere nel tempo. MEMORIA FUTURA In futuro, la semplice esposizione delle persone a pubblicità o a prodotti di gel, sapone, disinfettanti, richiameranno, probabilmente, nella memoria delle persone, uno stile comportamentale prudente, distante, teso al rispetto di norme comuni, ma anche alla paura di essere scampati ad un nemico invisibile. Inoltre, seppure il COVID-19 sta colpendo le persone aldilà della loro identità nazionale, sarà difficile sradicare il comportamento teso a identificare nello straniero la maggior minaccia. Fra l’altro persone maggiormente rispettose delle regole, conservatori, sono anche i soggetti meno inclini ad accettare il diverso. Se poi lo straniero è anche molto differente da noi, la questione si complica, perché richiama implicitamente nella nostra mente che è uno sconosciuto, un soggetto di cui non sappiamo nulla. Proprio come il COVID-19. La funzione chiave del Brand è quella di comunicare ai consumatori le differenze tra i brand all'interno dello stesso tipo di offerta di un prodotto. Di conseguenza, il Brand comunicato tramite Audio è un’azione promozionale e pubblicitaria pianificata che ha lo scopo creare un canale diretto, una connessione emotiva tra mittente (Brand) e destinatario (Consumatore). Il Brand-Audio crea quindi segnali associativi per il riconoscimento, comunica messaggi e trasferisce un'immagine creata dall'uso del suono. La musica non solo supporta le immagini e gli slogan visivi del Brand nella pubblicità, ma è uno strumento indipendente per emozionare e rendere maggiormente importante l’impatto nella mente del consumatore del Brand.
Un uso coerente e costante di un messaggio audio dovrebbe farlo diventare in un'espressione autonoma del Brand stesso. Il messaggio acustico quindi dovrebbe rispecchiare profondamente l'identità del Brand e soddisfare gli stessi criteri costitutivi dei loghi visivi o degli slogan testuali. Si tratta di stabilire una componente udibile del Brand. Gli stimoli alla quale ogni soggetto è oggi esposto sono innumerevoli. E a causa del sovraccarico sensoriale quotidiano, molti stimoli visivi non raggiungono il cliente. A differenza della vista, l’apparato uditivo è sempre attivo (se non si desidera vedere basata chiudere gli occhi). L’orecchio non può essere spento o allontanato dai suoni e quindi elabora i segnali acustici in ogni istante. Tali segnali acustici non sono trattati consapevolmente dal consumatore, funzionano come un "segnale periferico" e inducono un meccanismo di atteggiamento al di sotto del livello di elaborazione cognitiva. Inoltre, i messaggi sonori non richiedono il richiamo di determinati codici di lingue o terminologia. Il Brand-Audio affronta la sfida di catturare l’attenzione degli ascoltatori e avviare processi cognitivi ed emotivi che si traducono in effetti nella memoria a lungo termine del consumatore. Il 18 Agosto 2019 il Prof. Arnaldo Bernini ha scritto un articolo sul Sole 24 teso a mostrare come la musica possa essere considerata lo stadio primordiale del linguaggio. Vista l'importanza che la musica assume per ogni tipo di messaggio pubblicitario è allora utile conoscere quanto afferma Bernini: "La stimolazione musicale, che nel lobo temporale ha un'area percettiva diversa da quella del linguaggio e del suono non ritmico (rumore), è trasmessa a veri centri cerebrali, specie all'affettività del sistema limbico, senza connessione con le aree del linguaggio e della razionalità" (Vedi anche Koelsch S., Brain correlates of music-evoked emotions. Nat Rev Neurosci. 2014 Mar;15(3):170-80).
Con le metodiche del neuromarketing può essere misurato ciò che le persone non controllano, cioè le emozioni, che stanno alla base dei comportamenti dei consumatori. La comunicazione ha una forte componente emozionale soprattutto se supportata dalla musica che è percepita implicitamente dal soggetto. In fase di valutazione immobiliare con finalità di vendita, si riscontra l’esistenza di errori percettivi (bias) che causano una sopravvalutazione dell’immobile da parte del venditore-proprietario. In particolare, un fenomeno molto conosciuto dai professionisti del settore immobiliare riguarda il fatto che il proprio immobile ha un valore percepito spesso più elevato rispetto al valore di mercato. Questo fenomeno è una forma di bias nel quale il valore affettivo dell’immobile altera e distorce il processo decisionale del venditore, che quindi fatica a prendere delle decisioni razionali.
Nel marketing è in atto una rivoluzione. Il modello tradizionale d’acquisto dei consumatori è oggi sostituito dal “consumer journey” che fa leva su smartphones, machine learning e digital store. Gli Store, i siti, i social e le piattaforme di e-commerce sono oggi legate da un’unica strategia, l’Omnichannel e può quindi già capitare che il rapporto tra brand e clienti inizi dal web (lead generation) per poi proseguire al di fuori del negozio, grazie a vetrine intelligenti e soluzioni sempre maggiormente accattivanti e coinvolgenti (realtà aumentata, ad esempio). Una volta dentro il negozio il consumatore può essere intercettato con delle app. e grazie a specifici “device” (RFID) che interagiscono con i loro smartphones per guidare o ottimizzare le loro decisioni di acquisto e migliorare la customer experience. Ed è qui che entrano in gioco i sistemi di machine learning e marketing implicito (misurazione della comunicazione e l'impatto che prodotti, il brand, il package, la pubblicità, ecc. ha nella mente dei consumatori) che hanno lo scopo di modificare le abitudini o comportamenti d’acquisto dei consumatori prevedendo, ad esempio, quando diventeranno clienti, quando acquisteranno ancora (es. modelli di recommendation)o qual è il pericolo che abbandonino il brand (analisi predittive). Quello che oggi intravvediamo è solo il momento iniziale di un futuro competitivo che è appena abbozzato dai grandi marchi e che per diffondersi avrà bisogno di competenze idonee per guidare le strategie commerciali dell'impresa di cui l'omnichannel è quella oggi di maggiore prospettive.
Le neuroscienze possano essere utilizzate nei media? In questo studio condotto a Bruxelles, il Muzieklaboratorium di Medialaan assieme a Davide Rigoni e il team di Profacts hanno misurato le risposte implicite del cervello di personaggi dello spettacolo alle canzoni più ascoltate nella trasmissione radiofonica Joe FM. L'obiettivo della ricerca? Identificare il fattore "pelle d'oca" e riuscire a prevedere il successo di una canzone e il suo ingresso nella Top 5. Nel video sottostante (in olandese), i personaggi televisivi intervistati raccontano la loro esperienza e commentano la canzone Bohemian Rapsody dei Queen. Secondo l'esperto di neuromarketing e docente di psicologia Jelle Demanet (Ghent University & Profacts), la realtà virtuale consente di condurre ricerche di mercato in maniera più veloce e più divertente per il consumatore, con un notevole risparmio economico. Nel master di Neuromarketing verranno presentati diversi casi di successo in cui la realtà virtuale è stata utilizzata in combinazione con altri metodi di indagine psicologica e neuroscientifica |