Il frame cinese del Virus
Wuhan è una città che vanta la presenza di molte aziende occidentali, anche italiane e tedesche. “A Wuhan, la città del virus cinese, si stava preparando un progetto per un «Italian village» delle imprese italiane, un’area di 5,6 chilometri quadrati dedicata alle piccole e medie aziende italiane” (Il Sole24 Ore On Line del 24 Gennaio 2020). La Webasto, azienda bavarese, leader mondiale nella produzione dei tetti panoramici, è presente con un proprio stabilimento di produzione a Wuhan. Si stima che un’auto su due in Cina è dotata di un tetto panoramico della Webasto. Essere stato in Cina di recente per bussiness o turismo oppure essere un cinese di ritorno dalla Cina era considerato in fattore di rischio notevole come indicato dalle autorità sanitarie dell’Unità di crisi costituita già il 23 gennaio del 2020 dall’Italia. Non sono stati tuttavia valutate attentamente i pericoli connessi alle relazioni commerciali da e per Wuhan. A rafforzare la componente etnica orientale del Virus e la distanza dall’Europa ha contribuito l’informazione: video, immagini, racconti si riferivano solo al caso cinese. Si è rafforzata così l’opinione che il Virus rimanesse fermo nel posto in cui era stato scoperto. Per vigilare sui “confini esterni” il Governo italiano aveva disposto il controllo della febbre negli aeroporti (modello già testato ai tempi della SARS), quarantena per persone provenienti dalle zone del contagio cinese, distanza sociale, ecc. Le polmoniti Presentarsi negli ospedali italiani con una polmonite oppure morire per una strana polmonite non è stato un segnale capace di attivare il monitoraggio sanitario e i medici degli ospedali italiani nei mesi tra dicembre 2020 e 21 febbraio 2020. Certo, il periodo invernale, a causa delle influenze con possibili ripercussioni polmonari (frequenti soprattutto nei mesi di dicembre-febbraio) ha complicato la lettura dei dati delle malattie in corso. Ma era veramente impossibile distinguere tra picco delle polmoniti dovute ad eventi stagionali (influenza) e polmoniti estremamente resistenti e che colpivano anche soggetti solitamente immuni da complicazioni? Oggi sono in molti a chiedersi a che servono tutti i nostri dati, età, sesso, malattie pregresse di cui il sistema sanitario italiano ci chiede continuamente conto se poi tali dati non possono generare ipotesi di cura o allarmi? Le strani polmoniti pur registrate dal sistema sanitario (ad es. spese per numero di tac polmonari in aumento, incremento di persone al pronto soccorso con problemi respiratori, ecc.) a chi dovevano essere segnalate? O, se registrate, i dati da chi dovevano essere analizzati e interpretati? Chiarire che fine fanno i nostri dati “sanitari” sarà sempre più importante al fine della costruzione di modelli sanitari che possano essere, magari con il supporto di machine learning, utilizzati per analisi “on line”, aggiornate al momento e a disposizione immediatamente delle autorità sanitarie con già delle ipotesi d’intervento (modelli predittivi). Ma si sa i dati sono Sistema 2. Faticosi. Questi i fatti di cui oggi (con il bias “del senno del poi”) possiamo far memoria:
Euristica della disponibilità In sostanza si conferma anche che era in opera tra l'opinione pubblica e gli esperti l’euristica delle disponibilità. Quando si valuta la possibilità che determinati fenomeni possano accadere, si scandaglia la nostra memoria alla ricerca di eventi simili che si sono avuti nel passato (in questo caso la spagnola, la febbre gialla, la peste e, ultimamente Ebola e SARS). L’opinione che si è formata non si è basata su dati oggettivi pur presenti (polmoniti insolite, evidente mancanza di risposta alle cure solite, notizie che arrivavano dalla Cina e che non erano rassicuranti) ma sulla capacità soggettiva (ma anche di gruppo sociale) di richiamare alla memoria determinati eventi (la SARS ed Ebola non sono arrivati in Italia) E pare che anche le immagini provenienti dalla Cina, i filmati, e i racconti sui morti, non hanno avuto quell'impatto tale per suscitare emozioni, empatia e paura da imprimere una narrazione utile a valutare il pericolo imminente. Il pericolo era lontano e poi era in opera il pregiudizio etnico o lo stereotipo riguardo la sanità, il regime alimentare e l’igiene cinese (vedi più avanti). Bias della conferma La scoperta del paziente 1 nasce dalla capacità dei medici di Cologno di aggirare la narrazione sul Virus e la sua diffusione. Interessante è rileggere quanto dichiarato a Repubblica del 6 Marzo 2020, da Annalisa Malara che ha scoperto il CoronaVirus del paziente 1 (Mattia). "Mattia dal 14 febbraio aveva la solita influenza, che però non passava. Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato e quella polmonite era già gravissima. Il paziente e tutti noi siamo stati salvati da rapidità e gravità dell'attacco virale. Dalla medicina è arrivato in rianimazione. Quello che vedevo era impossibile. Questo è il passo falso che ha tradito il CoronaVirus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l'impossibile non poteva più essere escluso. Ho chiesto un'altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo.Il giornalista Giampaolo Visetti allora domanda: Il tampone è stato immediato? "Ho dovuto chiedere l'autorizzazione all'azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità, potevo farlo". Vuole dire che il paziente 1 è stato scoperto perché lei ha forzato le regole? "Dico che verso le 12.30 del 20 gennaio i miei colleghi ed io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L'obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane". La ricerca del Virus si è adattata alla narrativa indicata da circolari e indicazioni prescrittive (che avevano come modello le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, tratte dal trattamento di altre epidemie come Ebola e SARS). Era in azione il bias della conferma che indica che nella realtà non ci comportiamo come vuole la teoria razionale (esame dei fatti, cioè allarme dalle polmoniti dilaganti, che il virus potesse circolare anche attraverso popolazioni non cinesi, ecc.) ma prima tracciamo delle conclusioni da esperienze pregresse (disponibili in memoria) e poi andiamo alla ricerca di prove per sostener la conclusione. Come il primo caso italiano ha mostrato, all’origine della malattia del paziente 1 doveva per forza esserci un collega o qualcuno con contatti in Cina (conclusione) poi si sono cercati i fatti (le prove) per sostenere tale narrazione, il paziente zero. La successiva ricerca del paziente zero è stata inutile perché come mostrato da diverse indagini epidemiologiche il Virus circolava in Italia e in Germania da molto tempo prima. IL SIGNIFICATO DI CIO’ CHE SI VEDE Gli allarmi scritti in forma di circolare da parte del Ministero della salute non "allarmano" a sufficienza le Regioni e le istituzioni sanitarie. Pare che la lettura della circolare venisse fatta con lentezza colmi di ottimismo sul potere del sistema sanitario nazionale (uno dei migliori del mondo, bias ottimistico). Nonostante ciò si è proceduto a costituire unità di crisi nei migliori ospedali e ad effettuare esercitazioni, ma con i mezzi disponibili, senza conoscere nulla della forza del Virus. Non si comprenderebbe altrimenti perché: a) non si è tenuto conto della circolare del Ministero della Salute del 23 Gennaio 2020 che dettava norme specifiche per gli Ospedali in tema di dispositivi e percorsi personalizzati per l’accertamento dei positivi e dei loro parenti. Il ministero della Salute ha mandato per tempo le istruzioni agli Assessorati regionali. Ma come si evince dai primi casi gli Ospedali erano impreparati sotto il profilo strutturale (terapia intensiva, dispositivi di protezione), numerico (medici disponibili e attivabili sul territorio) e procedurale (i tamponi dovevano essere fatti a coloro che avevano la polmonite e precedente essere stati in Cina o aver avuto contatti con cinesi provenienti dalle zone del contagio. Quindi un manager proveniente da Shanghai poteva circolare indisturbato per il globo ed essere positivo al virus). b) non si è tenuto conto della possibilità che a trasmettere il Virus potessero essere soggetti Positivi e asintomatici. Eppure, la rivista scientifica Lancet aveva già segnalato il 25 gennaio che il virus poteva essere trasmesso da asintomatici, soprattutto bambini. Quindi, alla mancanza del sistema sanitario di leggere in maniera predittiva e coordinata i “dati fuori norma” registrati sul territorio (soprattutto lombardo) di pazienti con polmoniti, si assomma la ricerca affannosa del “caso positivo”, già malato con febbre, cinese, oppure paziente con polmonite con collegamento diretto o indiretto con la Cina o cinesi. Degli asintomatici nemmeno si parla o si parla solo in maniera poco allarmante (gli esperti indicavano che soggetti, con pochi sintomi, difficilmente potevano essere contagiosi). Le notizie e le immagini video che provenivano dalla Cina, ancor prima degli studi scientifici che all’inizio di febbraio 2020 incominciavano copiosamente a circolare, hanno destato allarme orientandolo però solo verso la direzione della ricerca del “cinese sintomatico” o i collegamenti dei positivi o affetti da polmoniti con i cinesi sintomatici o persone provenienti dalle zone del contagio”. Come mai il personale sanitario non si è allarmato quando osservava: - che i medici e sanitari cinesi indossava dispositivi di protezione molto potenti. Perché i medici cinesi portavano tali dispositivi? I medici non cinesi potevano chiedersi almeno se non fosse a causa di un’alta contagiosità? - che le persone isolate socialmente in tutta la regione dell’Hubei indossassero mascherine protettive? L’unica risposta possibile è che se nella nostra mente non abbiamo dei modelli già pre-esistenti: è impossibile che si presti specifica attenzione a ciò che appare lontano e poco minaccioso rispetto alla nostra sopravvivenza. Non c'era sufficiente motivazione. GLI “STEREOTIPI” NAZIONALI E IL VIRUS CHE ODIA LE FRONTIERE Le popolazioni occidentali (europee o americane) che oggi si sentono minacciati dal Virus, ritenevano, all’inizio della pandemia, che i cinesi prima e gli italiani fossero sostanzialmente colpevolmente i portatori principali del contagio. I primi (i cinesi) per scarsa sensibilità sanitaria, alimentare e d’igiene; i secondi (gli italiani), perché disorganizzati, dissipatori e indebitati. Così:
Ad accorgersi di questo errore è stata, sulla sua pelle, per prima la Francia, che è passata, in breve tempo, da un’ingenerosa satira verso gli italiani (la pizza al CoronaVirus) alla paura dell’epidemia, poiché, ad ogni giorno che passava, emergeva chiaramente che il Virus odia tradizionalmente le frontiere e non fa caso agli sconfinamenti. Boris Johnson e D. Trump, scommettevano che il Virus potesse essere pericoloso per alcuni soggetti, poveretti, deboli, di scarso valore aggiunto per la loro potenza economica. Meglio, per il primo Johnson, l’effetto immunità di gregge che ostacolare qualcosa che non si vede e nemmeno si comprende. Alla fine, anche questi paladini del libero mercato e del business sopra tutto hanno ceduto all'evidenza che il Virus COVID-19 è una minaccia per loro stessi, l’intera specie e indirettamente anche per l’economia e la sopravvivenza dell’uomo. Ma sono i numeri del contagio che alla vigilia di Pasqua 2020 allarmano. I dati forniti dalla Johns Hopkins University, in aggiornamento continuo, dicono che i contagiati nel mondo sono oltre il milione e settecentomila persone e il numero dei morti è di 104 mila. Questi dati indicano che il COVID-19 è un vero flagello capace di mettere in crisi intere nazioni e, in epoca di globalizzazione, le relazioni tra continenti. Il primo ministro inglese uscito dal periodo di cura per aver contratto il CoronaVirus è ora molto attento a indicare ai propri concittadini comportamenti ottimali (“non uscite di casa”) per rallentate l’epidemia. IL RISPETTO DELLE REGOLE TRA OBBEDIENZA E RIBELLIONE E IL GIUDIZIO SOCIALE. In questo momento si ha quindi maggiore coscienza collettiva e mondiale della pandemia. Le persone in ogni nazione avvertono che un pericolo invisibile minaccia l’esistenza di ognuno di loro, dei loro cari e anche dell’intera società. Come conseguenza i cittadini di ogni nazione si aggrappano alle sicurezze fornite dalla scienza, dalla politica e anche dalla fede religiosa capace di dare senso all’improvvisa rottura delle regole indotte dalla natura non domata e tanto meno conosciuta (il Virus). In generale, si nota nelle società e nazioni del monto una maggiore disponibilità ad accettare le norme per contrastare la diffusione della pandemia. In particolare, persone più orientate alla tradizione, al rispetto delle regole, conservatori si direbbe, non vedono in questo periodo storico di buon occhio persone creative, che usano comportamenti fuori norma, modelli propri piuttosto che quelli condivisi e che si mostrano "eccessivamente creative" nel senso di devianti rispetto a norme comportamentali ritenute più efficaci. In sostanza il comportamento libero, privo di vincoli, individualista nelle scelte, è oggi meno gradito, perché potenzialmente portatore del pericolo di allargare il contagio e quindi altamente minaccioso per l’esistenza propria e degli altri. Obbedienza da una parte, eccentricità e ribellione individualista nelle scelte dall’altra parte. Anche le norme sociali apprese in maniera implicita (educazione, modalità di fare acquisti, di consumare, gestione delle relazioni personali e sociali, rispetto dell’ambiente, ecc.) sono messe in crisi in questo periodo di COVID-19. Questi comportamenti, abitudini apprese, devono oggi confrontarsi con le norme necessarie per ostacolare la diffusione dell’epidemia: igiene, mascherine, distanza sociale. Coloro che all’interno di un gruppo sociale temono che il contagio si allarghi, mettono in atto tutte le prescrizioni fornite dalle autorità sanitare, e aggiungono nei loro comportamenti maggiore vigilanza e sono tesi ad attuare procedure igieniche corrette. Il loro giudizio è molto severo verso soggetti che hanno mostrato comportamenti scorretti anche se non direttamente collegati alla diffusione pandemica (un imprenditore che ha licenziato in maniera infondata o maltrattato i collaboratori, componenti dello stato che non vigilano adeguatamente sui piani sanitari, ad es.). In sostanza, in imprenditore che maltratta un dipendente, o, addirittura un imprenditore che cerca di truffare sulla vendita di mascherine, un responsabile di una casa di cura che chiude un occhio rispetto ad un piano sanitario non realizzato, potranno essere considerati nel periodo pandemico come attori socialmente molto pericolosi, degni delle peggiori pene. In un periodo non pandemico probabilmente tali comportamenti, ancor prima che reati, sarebbero stati tutto sommato tollerati. Il giudizio di coloro che sono conservatori, si rafforza in questo momento con i provvedimenti di distanza sociale o di igiene rafforzata. Il rispetto delle norme e un atteggiamento preventivamente prudente sarà mantenuto dagli “obbedienti” anche nel prossimo in futuro. Ad esempio, l’abitudine acquisita di rispettare le regole di pulizia e di igiene per prevenire il contagio, con largo ricorso a disinfettanti o altri detergenti e saponi, forma anche una modalità comportamentale e valori che tenderanno a persistere nel tempo. MEMORIA FUTURA In futuro, la semplice esposizione delle persone a pubblicità o a prodotti di gel, sapone, disinfettanti, richiameranno, probabilmente, nella memoria delle persone, uno stile comportamentale prudente, distante, teso al rispetto di norme comuni, ma anche alla paura di essere scampati ad un nemico invisibile. Inoltre, seppure il COVID-19 sta colpendo le persone aldilà della loro identità nazionale, sarà difficile sradicare il comportamento teso a identificare nello straniero la maggior minaccia. Fra l’altro persone maggiormente rispettose delle regole, conservatori, sono anche i soggetti meno inclini ad accettare il diverso. Se poi lo straniero è anche molto differente da noi, la questione si complica, perché richiama implicitamente nella nostra mente che è uno sconosciuto, un soggetto di cui non sappiamo nulla. Proprio come il COVID-19.
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